Scritta da: Silvana Stremiz

Anniversario (1889)

Sono più di trent'anni e, di queste ore,
mamma, tu con dolor m'hai partorito;
ed il mio nuovo piccolo vagito
t'addolorava più del tuo dolore.
Poi tra il dolore sempre ed il timore,
o dolce madre, m'hai di te nutrito:
e quando fui del corpo tuo vestito,
quand'ebbi nel mio cuor tutto il tuo cuore,
allor sei morta; e son vent'anni: un giorno!
E già gli occhi materni io penso a vuoto;
e il caro viso già mi si scolora;
mamma, e più non ti so. Ma nel soggiorno
freddo dè morti, nel tuo sogno immoto,
tu m'accarezzi i riccioli d'allora.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Alba festiva

    Che hanno le campane,
    che squillano vicine,
    che ronzano lontane?
    È un inno senza fine,
    or d'oro, ora d'argento,
    nell'ombre mattutine.
    Con un dondolìo lento
    implori, o voce d'oro,
    nel cielo sonnolento.
    Tra il cantico sonoro
    il tuo tintinno squilla,
    voce argentina - Adoro,
    adoro - Dilla, dilla,
    la nota d'oro - L'onda
    pende dal ciel, tranquilla.
    Ma voce più profonda
    sotto l'amor rimbomba,
    par che al desìo risponda:
    la voce della tomba.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Mezzogiorno

      L'osteria della pergola è in faccende:
      piena è di grida, di brusìo, di sordi
      tonfi; il camin fumante a tratti splende.
      Sulla soglia, tra il nembo degli odori
      pingui, un mendico brontola: Altri tordi
      c'era una volta, e altri cacciatori.
      Dice, e il cor s'è beato. Mezzogiorno
      dal villaggio a rintocchi lenti squilla;
      e dai remoti campanili intorno
      un'ondata di riso empie la villa.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Il Santuario

        Come un'arca d'aromi oltremarini,
        il santuario, a mezzo la scogliera,
        esala ancora l'inno e la preghiera
        tra i lunghi intercolunnii dè pini;
        e trema ancor dè palpiti divini
        che l'hanno scosso nella dolce sera,
        quando dalla grand'abside severa
        uscìa l'incenso in fiocchi cilestrini.
        S'incurva in una luminosa arcata
        il ciel sovr'esso: alle colline estreme
        il Carro è fermo e spia l'ombra che sale.
        Sale con l'ombra il suon d'una cascata
        che grave nel silenzio sacro geme
        con un sospiro eternamente uguale.
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